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Riccardo cuor di... Gelato

Riccardo cuor di... Gelato

Credo di aver seguito Riccardo Patrese fin dalle sue prime di F. Italia, ma non sempre sui campi di gara e di lui probabilmente mi ero fatto una idea abbastanza diversa da quella che ho adesso. Ricordo perfettamente alcune sue gare bellissime della stagione '75, come ad esempio quella... A inseguimento che disputò a fine campionato a Imola. Di lui si diceva già gran bene, anche se alcuni maligni avanzavano ipotesi evidentemente impossibili da provare di una eventuale superiorità della sua macchina rispetto ad altre... Comunque, il campionato di F. Italia aveva un altro campione che a inizio anno era molto atteso in F. 3 per quel suo accasamento con una squadra ufficiale.


Di Patrese si diceva poco. Già Riccardo è un personaggio che fa... poco personaggio, così schivo e tanto veneto in tutti i suoi comportamenti. E i veneti non se ne abbiano a male: ho una delle simpatie più sviscerate per loro, per la loro semplicità, modestia, ma lo spiccato senso di amicizia e «camaraderie» interviene quando si hanno rapporti con loro. Era solo per dire che lui, campione del mondo di Kart e già sulla bocca di tutti per le, comunque, validissime prestazioni in F. Italia, non era ancora sufficientemente chiacchierato, anche perché si faceva i fatti suoi tutto tranquillo, con i giornalisti non aveva rapporti, e quando doveva averne per forza rispondeva educatamente dando loro del «lei» e ossequiosamente salutandoli alla prima occasione.


UN'INCOGNITA SUBITO RISOLTA


Praticamente a inizio stagione si diceva sarebbe andato a correre con i Trivellato, con una macchina nuova, la Chevron, della quale peraltro si sapeva abbastanza poco. Il ragazzo aveva provato a Misano, tempi buoni, promettenti, ma niente di più. Un’incognita, insomma, anche per lo stesso Trivellato, sempre pieno di speranze, anche lui comunque in attesa dei famosi risultati.


Questi comunque sono arrivati subito. Al Nürburgring, prima corsa di stagione europea (mentre al Mugello lo stesso giorno la prima gara del campionato italiano della stessa specialità vinceva il solito Pesenti Rossi) grande esaltazione per il ventunenne padovano (doveva compiere 22 anni quindici giorni dopo) che portava a termine una corsa strepitosa e non acquisiva i primi punti solo per colpa dell'acqua, e comunque cedeva solamente a uno specialista del calibro di Conny Anderson che sul difficilissimo tracciato del Nürburgring aveva probabilmente già corso almeno cinquanta volte.


Ricordo ancora la banda telex inviataci da Jeff Hutchinson, un giornalista inglese che di corse se ne intende, e che non faceva che parlare di questo giovane padovano. Dal Nürburgring a Zandvoort, altro circuito da F. 1, e questa volta Patrese, anche grazie al contatto che mette fuori gara Gianfranco Brancatelli, malamente urtato dall'idolo locale, Boy Hayje, non ha difficoltà ad aggiudicarsi la prima gara della stagione, e con questa ad andare a condurre l'interessante campionato europeo di F. 3.


Dopo questa prova ho conosciuto di persona Riccardo, a Varano, dove sono andato animato da grande curiosità, e dove ho avuto la prima delusione. Intendiamoci non delusione da parte del pilota, che anzi mi ha convito pienamente anche se poi non ha vinto la gara, ma dall'uomo, o meglio dire dal ragazzino, tutto chiuso nell'ambito del camioncino di Trivellato, sempre solo o al massimo con papà e mamma. Non mi aspettavo che mi venisse incontro raccontandomi tutte le sue impressioni europee, ma neanche che fosse così evasivo quando ho cercato di sapere dalla viva voce del protagonista come erano andate le cose in Germania e in Olanda.


«Niente di speciale, al Nürburgring mi sono trovato bene... In Olanda ho vinto... arrivederla, buongiorno».


Ricordo che ne parlai con Brancatelli, già molto più estroverso di lui, che mi confermò queste mie impressioni, aggiungendo: «sì, non è che parli molto, ma va molto bene...»


Dopo questa gara italiana Riccardo rientrava nel suo calendario europeo, Mantorp Park, l'Avus. Ricordo di averlo cercato dopo questa seconda prova tedesca in officina da Trivellato. Poche lapidarie parole. «Quella non è una pista. Praticamente si va e si torna attorno a due coni di gomma. Uno mette tutte le marche che ha e aspetta di frenare, scalare, e rinfilarle. Io ho rotto il cambio».


IL PIANTO DI LIBERAZIONE


A questo punto della stagione, dopo quattro prove disputate, prendeva il comando della classifica Conny Anderson, il trentasettenne svedese che era entrato da poco in squadra con Brancatelli e correva con le March semiufficiali per i colori della Speedprint.


Solo a Pergusa credo di aver conosciuto il vero Patrese. O forse solo in Sicilia siamo riusciti a parlare abbastanza a lungo, o di aver veramente «tifato» per questo ragazzo timido, che è passato dalla rabbia, dallo sconforto degli attimi prima della partenza alla gioia sconfinata, al pianto da «liberazione» dopo una gara sofferta e combattuta contro condizioni avverse, avversari degnissimi e forti, soprattutto contra il suo timor panico del bagnato.


«È una pazzia partire con quest'acqua» sosteneva con una specie di broncio già a macchina schierata, mentre i volonterosi siciliani si davano da fare per cercare di sfoltire le pozzanghere che rendevano più che insidioso il tracciato del lago. Ed era infatti partito abbastanza scaricato in finale, demoralizzato per questa sua intima convinzione di non essere competitivo come gli altri sul bagnato, soprattutto temendo quel Conny Anderson che inquanto a esperienza non è secondo a nessuno. Ha lottato da solo, unica Chevron in un mare di March, recuperando metro su metro dopo una partenza come al solito abbastanza infelice.


Ecco un'altra cosa sono riuscito a capire. Perché Patrese abbia sempre tanto concesso ai suoi avversari in partenza nei primi giri. Perché mai debba fare solamente gare di rimonta, anche quando ha la possibilità di partire in prima fila. Forse sarà un po' la caratteristica del pilota, della macchina. Sta di fatto che anche in Sicilia è successo così. Anche a Pergusa ha macinato inesorabilmente i suoi avversari, e a tre quarti di gara ha superato lo svedese proprio all'inizio del rettilineo delle tribune, con il pubblico siculo rispuntato fuori dopo il diluvio, tutto in piedi per una gara che forse non aveva mai visto così appassionante.


Ecco, probabilmente a Pergusa Riccardo Patrese ha costruito il suo successo, la sua stagione portentosa che lo ha portato tanto avanti. Ha dovuto sconfiggere la pioggia, ha dovuto acquisire questa nuova sicurezza nelle sue capacità, è cambiato.


Due domeniche dopo, al Lotteria di Monza era un altro pilota, un altro uomo sicuro, caricato a spuntino, ormai voglioso solo di confermare quelle doti, quelle caratteristiche che già erano emerse della gara precedente. Non si è mai curato della presenza di Giacomelli, che tutti un po' avevamo sottolineato per rendere ancora più interessante questo campionato che viveva di fuoco. Il suo avversario è stato ancora Conny Anderson, ancora una volta si è si è ripetuta la gara di Pergusa, ancora una volta ha dovuto rimontare e questa volta migliari di italiani lo hanno visto per televisione, e si sono resi conto di cosa era capace questo tenace, taciturno padovano.


Lo stesso Conny Anderson, ancora una volta, non ha saputo dire altro che «il boy era andato fortissimo».


Ormai era fatta. Era diventato lui l'uomo da battere, e ci hanno provato con tutti i mezzi. Fino dalle scorrettezze in terra svedese, quale trasferta Patrese è rientrato con il morale sotto i piedi.


«Non è serio giocarsi tutto un campionato in una gara solo. Là hanno veramente fatto tutto per mettermi fuori combattimento». E il coro delle lamentele era confermato dagli altri italiani, che avevano fatto un po' tutti le spese di questa strana amministrazione della giustizia sportiva al Ring Knutstorp. La battaglia di Vallelunga è cosa ormai dei nostri giorni. La tensione si toccava con le dita. E qui forse sono saltati i nervi per un attimo al gelido pilota della Chevron, che pur essendosi reso conto di avere vinto il titolo per la penalità inflitta ad Anderson, voleva a tutti i costi passarlo, facendo proprio il gioco dello svedese che ormai giocava l'ultima carta del tranello...


«Non potevo rimanere sempre lì dietro, io andavo con un altro ritmo. Volevo far vedere anche ai romani che ero il più forte. Non mi potevo accontentare di un secondo posto, anche in batteria, dietro ad Andersson. E poi dovevo pensare anche a non partire indietro in finale...»


Per questo ha tirato fuori persino i pugni a fine corsa, mostrando per la prima volta nella sua stagione la «corda» troppo tirata di un campionato durissimo, combattuto aspramente.


Ma ha saputo «ricaricarsi» in tempo per l'ultima prova di stagione, quella finalissima (ancora una!) per il campionato italiano, che lo vedeva contrapposto questa volta a Gianfranco Brancatelli. Con un sapiente lavoro di messa a punto effettuata qualche giorno prima della gara («per la prima volta siamo andati attorno agli ammortizzatori») si è presentato rilassato, calmo prima dell'ultimo scontro, mentre sia Brancatelli che Ghinzani sentivano un po' il peso di questa finalissima. E in gara, anche questa volta, non ha avuto avversari.


«Adesso andiamo a sciare, vedrai che lì ti insegnerò qualcosa di buono!».


Siamo diventati amici. Ma ancora adesso come un anno fa, pur dopo una stagione di successi, che gli hanno portato notorietà e stima, è rimasto quel ragazzo semplice, un po' fuori dal mondo, anche quello delle corse...


«Senti, sai qualcosa di nuovo su di me? Tanta gente mi dice tante cose, mi parlano della F. 1. Ma se tu sai qualcosa dimmelo. Io sono sempre l'ultimo a saperlo...»

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